Una diagnosi precoce, come per tante altre malattie, potrebbe essere la chiave per ritardare la comparsa dell’Alzheimer o meglio ancora per agire in modo tale che non si sviluppi nel corso degli anni successivi. È questa la sfida di un gruppo di scienziati australiani che ha ideato uno specifico test del sangue per scoprire con largo anticipo se il paziente svilupperà o meno il morbo di Alzheimer.
Il team di ricercatori, guidati da Samantha Burnham, esperta di bioinformatica al Csiro, è riuscito ad individuare alcuni marker biologici che possono segnalare i primi accenni della malattia nel cervello e dunque indicherebbero la progressiva comparsa dell’Alzheimer con tutti i suoi sintomi.
Il progetto australiano, pubblicato su Molecular Psychiatry, è stato sviluppato utilizzando dei modelli matematici grazie ai quali sono stati analizzati dati e analisi di 273 persone concludendo che, nell’80% dei casi, i cambiamenti avvenuti nel sangue coincidevano con quelli riscontrati nel cervello dei volontari. In particolare, il cambiamento più importante che viene associato allo sviluppo dell’Alzheimer è l’accumulo nel cervello sotto forma di placche della proteina tossica amiloide beta, che si riscontra già 17 anni prima dell’insorgenza della vera e propria malattia.
Grazie a questo test si potrà quindi forse, in futuro, agire prima della comparsa della vera e propria malattia e ciò significherebbe avere un grande vantaggio d’azione nel contrastarla. A proposito di questo la dottoressa Burnham ha dichiarato: “Una diagnosi tempestiva è di importanza critica per conseguire una reale differenza nella battaglia contro l’Alzheimer, per dare alle persone a rischio una possibilità molto maggiore di ricevere trattamento, in modo da ritardare di anni la sua insorgenza, o anche di modificarne il decorso. Un’analisi del sangue sarebbe una prima fase ideale per aiutare a identificare molte più persone a rischio, prima che una diagnosi sia confermata da test cognitivi e tomografia cerebrale“.
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