Una ricerca della Washington University of Medicine di St. Louis – in collaborazione con il Centro del sonno dell’Università di Medicina di Washington – ha evidenziato lo stretta relazione che c’è tra l’Alzheimer e i disturbi del sonno, andando ad analizzare l’attività di un marcatore della malattia, il beta amiloide.
Gli studiosi hanno rilevato, infatti, l’attività di questa proteina, che sale e scende nel fluido spinale secondo un modello quotidiano che riprende il ciclo del sonno e che può essere eliminata proprio grazie all’inattività cerebrale che si ha quando si dorme.
Dall’analisi dei risultati – pubblicati su Archives of Neurology – emerge che i tassi normali dei livelli di beta amiloide nel liquido che circonda il cervello e nel midollo spinale cominciano ad assottigliarsi nelle persone anziane i cui periodi di sonno sono spesso più brevi e più soggetti a interruzioni. Negli anziani con la malattia di Alzheimer, quindi, il flusso e riflusso è quasi soppresso e i livelli di beta amiloide sono vicini ad una costante.
Per arrivare a simili conclusioni, i ricercatori hanno monitorato il beta amiloide nel liquido spinale per un periodo di 24-36 ore e, durante tale periodo, hanno videoregistrato l’attività neuronale dell’attività cerebrale in tre gruppi di persone: il primo, di età media di 60 anni, i cui membri sono risultati positivi alla presenza di placche di beta amiloide nel cervello; il secondo nella stessa fascia di età che non hanno avuto placche; e un terzo formato da persone sane di età compresa tra i 18 e i 60 anni.
Il risultato? Nel gruppo con placche cerebrali, i livelli di beta amiloide sono stati praticamente regolari, mentre negli altri due si alzavano e abbassavano secondo un andamento sinusoidale. Gli alti e bassi di questo modello erano molto più pronunciati nei giovani.
“Nelle persone sane – spiega il dottor Randall Bateman, professore di neurologia presso l’università americana – i livelli di beta amiloide toccano il loro punto più basso circa sei ore dopo il sonno, e ritornano al loro punto più alto sei ore dopo la veglia al massimo. Abbiamo esaminato molti differenti comportamenti, e le transizioni tra il sonno e la veglia sono stati fenomeni fortemente correlati con l’ascesa e la caduta di beta amiloide nel fluido spinale”.
Conclude Stephen Duntley, direttore del Centro del sonno dell’Università di Medicina di Washington: “È ancora presto per dirlo, ma ci sono spunti interessanti per affermare che avere un sonno regolare può essere utile nel ridurre il rischio di malattia di Alzheimer“.
Fabrizio Giona