È da anni che va avanti il dibattito sulla cosiddetta “ipotesi Zamboni”, la teoria che mette in correlazione la CCSVI (insufficienza venosa cronica cerebrospinale) e la sclerosi multipla.
Secondo il prof. Zamboni, il deflusso anomalo del sangue del cervello causato dalla CCSVI sarebbe alla base dei sintomi della sclerosi multipla, non riuscendo a drenare il sangue dal midollo spinale e causando così danni alle cellule nervose: potrebbe quindi bastare il ripristino del normale flusso sanguigno, attraverso l’intervento di disostruzione delle vene interessate, per migliorare i sintomi della patologia.
L’ipotesi è stata più volte oggetto di critiche e smentite, ma oggi uno studio americano condotto in collaborazione con l’Università di Buffalo e pubblicato dalla rivista Bmc Medicine parrebbe invece avvalorare questa tesi, dimostrando che a causa delle ostruzioni venose tipiche della CCSVI si riduce il flusso sanguigno cerebrale.
Lo studio, che è stato oggetto di dibattito durante il meeting annuale della Società internazionale per le Malattie Neurovascolari a Bologna, individua infatti nel restringimento delle vene giugulari, che produce un rallentamento del flusso del sangue nel cervello, la base dei sintomi dei pazienti affetti da sclerosi multipla.
“Questo risultato – spiega Zamboni – indica come il fenomeno di degenerazione degli assoni (componente centrale del nervo) che è, in ultima analisi, l’evento che porta alla disabilità, è influenzato negativamente dal cattivo funzionamento delle vene e in particolare dal restringimento delle vene giugulari“.
Per ora le ricerche vanno avanti: persino l’Associazione italiana sclerosi multipla (AISM), all’inizio scettica, ha recentemente finanziato uno studio che coinvolgerà 1500 persone affette da sclerosi multipla.
Non resta quindi che attendere nuove risultati per capire la reale validità della teoria Zamboni.
Eleonora Cresci