La Corte di Giustizia Ue ha stabilito che non è brevettabile un procedimento che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, la prima fase di sviluppo di un embrione, comporti la distruzione dell’embrione.
La sentenza della Corte di Lussemburgo, resa nota ieri, fissa precise regole anche per le sperimentazioni future, allargando il concetto di embrione umano: “fin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano“. In secondo luogo afferma che è embrione umano sia “l’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura“, sia “l’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi“.
La portavoce della Commissione europea avverte: “l’embrione umano è un soggetto di diritto a qualsiasi stadio di sviluppo e questo concetto deve essere recepito da tutti i paesi dell’Unione“.
Si è conclusa così la causa avviata da Greenpeace contro il ricercatore tedesco Oliver Brustle, direttore dell’Istituto di Neurobiologia Ricostruttiva dell’Università di Bonn, che voleva convertire cellule staminali embrionali umane allo stadio iniziale di blastociti, ovvero a 5 giorni dalla fecondazione, in cellule nervose per poter brevettare un medicinale che potesse combattere il morbo di Parkinson. La sua richiesta di brevetto era stata però bloccata da Greenpeace, che ne era riuscita ad ottenere l’annullamento della registrazione.
Brustle si era rivolto quindi al Tribunale federale tedesco, che aveva passato la “patata bollente” alla Corte di giustizia europea. Fino a raggiungere il verdetto di ieri. “L’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di brevetto ma la sua utilizzazione a fini di ricerca scientifica non è brevettabile“, spiega in una nota la Corte di Giustizia. “Un procedimento che prevede il prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, comportando la distruzione dell’embrione, non può essere brevettato“, aggiunge la Corte.
Ed ecco arrivare, puntuali, le prime reazioni su una sentenza che riapre prepotentemente un dibattito etico molto sentito, con il consueto schieramento di giudizi positivi e negativi. il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella lo considera “un traguardo importante, perché mette un limite al mercato del corpo umano“, in piena sintonia con il genetista Bruno Dallapiccola, secondo cui si tratta di una “decisione di buon senso“.
Per Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale di Bioetica, la sentenza della Corte Ue “dà un giudizio giuridico e non etico della direttiva 98/44/Ce, che già stabiliva la non brevettabilità di ciò che riguarda la persona umana” e un principio fondamentale della bioetica, spiega D’Agostino, è che “il rispetto della persona umana viene prima delle esigenze della ricerca scientifica“.
Si tratta di un’autorevole indicazione bio-giuridica: in Italia, come negli altri Paesi della Ue, non si potranno brevettare ricerche scientifiche basate su materiali embrionali o cellule staminali derivanti dalla distruzione di embrioni, continua il presidente. “Non si può sperimentare tutto in nome della scienza e ridurre l’uomo a una macchina sperimentale“, conclude D’Agostino.
In netto contrasto, invece, Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di Pavia, che definisce la sentenza Ue “sconcertante, frutto di un pregiudizio etico senza base scientifica che rischia di rallentare di molti anni la ricerca contro il diabete, il Parkinson, l’infarto“. “Ci sono molti embrioni congelati inutilizzati – argomenta il genetista, sottolineando le contraddizioni della sentenza – proibire di usarli per la ricerca non è proteggerli: con tutta probabilità saranno buttati, sarebbe meglio anche per loro contribuire al futuro dell’umanità e al benessere fisico di milioni di persone“.
Si tratta di “una decisione devastante e irreversibile“, incalza Elena Cattaneo, ordinario di Applicazioni biotecnologiche in Farmacologia all’Università di Milano. “Se mai le ricerche sulle cellule staminali di origine embrionale dovessero consentire di produrre farmaci per la cura del Parkinson o dell’Alzheimer, i brevetti saranno statunitensi o asiatici, non europei. E noi pagheremo quei farmaci 100 volte di più“. La possibilità di brevettare le ricerche sulle cellule staminali di origine embrionale per gli scienziati “significa due cose – spiega la docente- che la scoperta scientifica diventa pubblica, cioè che lo scienziato può renderne chiara e trasparente la genesi sulle riviste scientifiche, e che è tutelata, per l’eventuale uso a fini commerciali. Quale compagnia farmaceutica finanzierà mai una ricerca senza la possibilità del brevetto?“. Gli embrioni da cui derivano le cellule staminali per la ricerca sono “embrioni in eccesso che si generano durante le tecniche di fecondazione in vitro. In Italia usiamo cellule staminali embrionali prodotte all’estero. Gran Bretagna, Svezia, Stati Uniti dispongono di queste linee cellulari. La Commissione europea ci finanzia per fare ricerca su queste cellule“, conclude la Cattaneo.
Insomma, il dibattito etico è più che mai aperto e le “correnti di pensiero” o le posizioni possono essere diametralmente opposte.
Sia che la sentenza sia “una decisione saggia, in linea con la legislazione italiana“, come dice il Ministro Fazio, sia che verrà considerata una limitazione alla ricerca, come sostengono molti scienziati… alea iacta est! E il Rubicone è stato attraversato.
Roberta Ragni