La fibromialgia è un problema molto diffuso in tutto il mondo, tanto che alcune recenti ricerche dimostrano come sia la prima causa di assenza dal luogo di lavoro. Fino al 10% della popolazione è interessato da tale condizione ma, il più delle volte, non è correttamente diagnosticata, poiché ricondotta ad altre situazioni o disturbi psicosomatici.
Tuttavia, una recente scoperta condotta da alcuni professori dell’Università di Genova e di quella di Verona, ha permesso di compiere importanti passi in avanti nella definizione delle cause della fibromialgia, una condizione che colpisce l’apparato muscolo – scheletrico, e che ha una componente autoimmune.
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La fibromialgia è una malattia autoimmune
Nello studio, pubblicato sull’ultimo numero di Journal of Clinical Medicine, emerge come la fibromialgia sia una malattia che presenza aspetti autoimmuni. E questo spiegherebbe anche perché tale disturbo colpisce soprattutto le donne, maggiormente predisposte a soffrire di patologia autoimmune (si pensi ad alcune forme di tiroidismo), o soggetti che presentano altre sindromi autoimmuni, come la celiachia.
Quali sono i sintomi della fibromialgia
Come – purtroppo – sanno tutte le persone che ne sono affette, la fibomialgia si presenta con una ricca gamma di sintomi debilitanti, di natura muscolare e/o scheletrica, generalmente alle braccia e alle gambe.
Una delle caratteristiche più ricorrenti è inoltre la sensazione di stanchezza, e la perdita dell’orologio biologico interno. Insomma, è un po’ come se si fosse sempre in jet lag, con un continuo cambio di fuso orario. Si dorme poco, e si dorme male.
Possono poi insorgere anche delle patologie associate, come i disturbi di natura intestinale, o ancora le malattie di tipo urogenitale, come la prostatite negli uomini e la cistite nelle donne.
Cosa cambia con la nuova scoperta
Ma perché la scoperta della fibromialgia come malattia autoimmune è importante?
È abbastanza semplice. Finora le terapie per la fibromialgia si sono concentrate soprattutto sulla necessità di ridurre il dolore mediante appositi farmaci, e a volte anche mediante il ricorso alla morfina.
Con le nuove ricerche si può invece intervenire alla radice del dolore, ovvero sull’infiammazione che interessa le terminazioni nervose, che è il risultato di una risposta immunitaria eccessiva da parte del nostro organismo. Per colpa di tale infiammazione le terminazioni nervose traducono il dolore in misura molto più amplificata di quella che percepirebbe una persona non malata.
Pertanto, per poter curare questa sindrome, si potrà ora puntare su farmaci ad azione immunomodulatoria e immunosoppressiva, che possono ridurre la risposta immunitaria “eccessiva” del nostro organismo.
Siamo comunque lontani da terapie di “massa”: si tratta invece di interventi che devono essere effettuati da specialisti che abbiano una profonda conoscenza della malattia e che operino presso centri ad hoc.