Perdita transitoria o permanente di alcune funzioni cerebrali, causata da una riduzione del flusso sanguigno (ischemia, infarto, 90% dei casi) o dalla rottura di un vaso sanguigno (emorragia,10% dei casi). È l’ictus cerebrale, la prima causa di disabilità nelle persone adulte e la terza di morte al mondo, che in due casi su tre casi colpisce persone al di sopra dei 65 anni.
Un problema medico-sociale gravissimo e largamente irrisolto, la cui incidenza, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, è in continuo aumento. Ora, però, uno studio dell’International Stroke Genetics Consortium e del Wellcome Trust Case Control Consortium 2, pubblicato su Nature Genetics, ha individuato una variante genetica che aumenta il rischio di incorrere nella patologia. Una scoperta che potrebbe rivelarsi fondamentale nella prevenzione e nella personalizzazione della terapia.
Si chiama HDAC9 il gene connesso all’ictus ed è stato individuato esaminando i dati genetici di oltre 50 mila persone di origine europea, delle quali circa 10.000 affetti da ictus ischemico. Allo studio ha contribuito anche un team di esperti della Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta”, diretto da Eugenio Parati: “l’analisi dei risultati – spiega Giorgio Boncoraglio, della Fondazione Istituto Neurologico ‘Carlo Bestà, responsabile per la parte italiana dello studio – ha permesso di identificare un nuovo polimorfismo, ovvero una differenziazione, nel gene HDAC9 sul cromosoma 7p21 associato all’ictus cerebrale ischemico, in particolare in quei soggetti che sviluppano infarti cerebrali dovuti alla stenosi o all’occlusione delle grosse arterie del collo e della testa (arterie carotidi, arterie vertebrali, arteria basilare)“.
Una scoperta che apre una serie di possibilità applicative, come la prevenzione nei soggetti sani, in cui la conoscenza di un tratto genetico predisponente impone una maggior attenzione nel controllo dei fattori di rischio come fumo, obesità, mancanza di esercizio fisico, pressione alta, diabete o colesterolo elevato. La ricerca ha anche evidenziato una eterogeneità genetica nei diversi sottotipi di ictus ischemico che, con ulteriori studi, “potrebbe portare all’identificazione di nuove e più mirate terapie per i soggetti malati, verso i quali va adottata una prevenzione secondaria“, conclude Boncoraglio.
Roberta Ragni