Per combattere il nemico, si dice, bisogna conoscerlo molto bene. E così accade che, nei Paesi Bassi, un gruppo di ricercatori dell’Erasmus Medical Centre di Rotterdam abbiano prodotto in laboratorio una versione molto più pericolosa del virus dell’influenza aviaria H5N1, per tentare di studiarne il funzionamento.
Gli scienziati hanno infatti scoperto che bastano 5 modificazioni genetiche per trasformare quello che finora ha ucciso 500 persone in tutto il mondo in uno dei virus più pericolosi mai prodotti. La cosiddetta “aviaria” sarebbe, con queste modifiche, molto più contagiosa e in grado di scatenare una vera e propria pandemia, che potrebbe uccidere la metà della popolazione mondiale.
Il problema che ora si pone è: è legittimo divulgare i risultati di questa scoperta scientifica (la cui validità è stata per ora sperimentata sui furetti) o sarebbe meglio evitare che altri possano dotarsi di un’arma di tale efficacia? Il virologo Ron Fouchier, che ha guidato la ricerca, sostiene che la pubblicazione dei risultati aiuterebbe la comunità scientifica a prepararsi ad una pandemia di questo genere.
Si trova d’accordo anche Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università di Milano: “Non pubblicare lascerebbe i ricercatori al buio su come rispondere a un focolaio. Lo scambio di conoscenze è fondamentale per prevedere la reale gravità di una pandemia. L’aviaria era sì una “bestia” nuova, ma non apocalittica. Con un maggiore scambio di conoscenze la diffusione di informazioni sarebbe stata più precisa e meno allarmistica“.
Di parere diverso, invece, altri studiosi, timorosi che il nuovo virus possa diventare una pericolosissima arma biologica: “È solo una cattiva idea quella di trasformare un virus letale in un virus letale e altamente contagioso. È un’altra cattiva idea quella di pubblicare i risultati delle ricerche che altri potrebbero copiare“, è il commento dell’esperto di bioterrorismo e direttore del Centro per la Biosicurezza dell’Università di Pittsburgh, Thomas Inglesby. Gli fa eco anche il biologo molecolare della Rutgers University (New Jersey), Richard Ebright, che sostiene che “questo lavoro non andava fatto“.
Nelle mani sbagliate, effettivamente, questo virus potrebbe diventare un’arma davvero pericolosa, al pari del tanto temuto nucleare o dei famosi (quanto dubbi) arsenali iracheni che hanno scatenato la seconda guerra del Golfo. Questo dilemma dovrà perciò essere sciolto in fretta, dato che ai risultati di Fouchier si aggiungeranno presto anche quelli dell’Università di Tokyo, giunta alle stesse conclusioni.
Eleonora Cresci