Se non subirà variazioni, il decreto legge sulle liberalizzazioni prevede che sia compito del medico informare i pazienti dell’eventuale disponibilità di farmaci generici.
Il medico di famiglia sarà così tenuto “sulla base della sua specifica competenza professionale, ad informare il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario uguali” specificando nella ricetta se il farmaco prescritto è “sostituibile con equivalente generico” o “non sostituibile“, nei casi in cui sussistano “specifiche motivazioni cliniche contrarie”.
Se non è indicata la “non sostituibilità”, il farmacista dovrà “fornire il medicinale equivalente generico avente il prezzo più basso”, a meno che il cliente non voglia quello “di marca”.
Ma qual è l’origine dei farmaci generici? Anche detti “equivalenti”, essi nascono da molecole sulle quali è scaduta la protezione del brevetto e che possono essere venduti a minor prezzo rispetto all’originale.
Nel corso del 2012 scadrà la protezione brevettuale di 44 molecole, tra queste:
– l’atorvastatina, il prodotto per ridurre il colesterolo che, secondo le stime dell’Ims Health (multinazionale specializzata in analisi di mercato), solo in Italia in un anno ha fatturato 490 milioni di euro all’azienda produttrice
– l’irbesartan, farmaco contro l’ipertensione da 127 milioni di euro
– il montelukast, antiasmatico, che ha fruttato 89 milioni di euro
Entro il 2013, scadranno ancora altri brevetti in scadenza, tra cui:
– l’associazione salmeterolo/fluticasone contro la bronchite cronica e l’enfisema, che oggi ha una vendita pari a 300 milioni di euro l’anno
– donepezil, galantamina, entacapone, tolcapone, farmaci per l’Alzheimer e il Parkinson
– il raloxifene, per l’osteoporosi
– la quetiapina per le malattie psichiatriche
– e il brevetto del Viagra, che rende 66 milioni di euro
Secondo il ministero della Salute, le norme dovrebbero vincere le resistenze (sono infatti poco più del 13% i medicinali senza marca assunti dagli italiani) e “favorire l’uso di medicinali equivalenti a più basso costo, in tutti i casi in cui non sussistano specifiche ragioni sanitarie che rendano necessario l’uso dello specifico medicinale indicato dal medico”. In pratica, quando si può scegliere tra un generico e un farmaco “griffato”, quasi 3 italiani su 4 optano per quest’ultimo, contro gli Stati Uniti, dove la percentuale di preferenza per il farmaco equivalente è pari al 90% o la Gran Bretagna e la Germania, dove arriva al 70%.
Perché questo atteggiamento? Secondo un’indagine condotta da Sextantfarma nel 2009-2010, ancora molti pazienti sono convinti che a un prezzo inferiore corrisponda una minore qualità del prodotto. Atteggiamento tra l’altro condiviso anche dagli stessi medici di famiglia: circa la metà del campione, infatti, ha mostrato dei dubbi sulla loro efficacia o sulla tollerabilità del medicinale stesso.
Insomma, generico sì o generico no? Una cosa è certa: gli esperti hanno il compito di fugare ogni dubbio sugli equivalenti, soprattutto alla luce del fatto che molti di questi farmaci sono in arrivo (il decreto ha infatti anche abrogato la norma per cui le aziende non potevano avviare le pratiche per il riconoscimento dell’equivalenza prima della scadenza del brevetto), sull’onda di una crisi che non fa altro che chiederci di risparmiare laddove si può.