Scoperto un nuovo fattore che causerebbe gli infarti: la lipoproteina. Oltre che con le cause “tradizionali” – colesterolo, ipertensione, diabete, obesità e fumo – la lotta per salvare il cuore da oggi dovrà fare i conti anche con la Lp(a).
Nel XXVII Congresso di Cardiologia del Centro per la Lotta contro l’Infarto- Fondazione Onlus, a Firenze, nel simposio “Conoscere e curare il cuore” è infatti stato dichiarato che la proteina in questione ha un ruolo primario nel causare l’infarto.
Conosciuta da più di 30 anni come “la proteina che affonda” per la sua densità, solo recentemente è stata scoperta la sua rilevanza come fattore di rischio cardiovascolare. A dimostrarlo uno studio pubblicato due mesi fa sul New England Journal of Medicine e condotto da un Consorzio di ricerca chiamato Procardis che comprende scienziati dell’Istituto Mario Negri di Milano, del Wellcome Trust Centre, della Clinical Trials Service Unit di Oxford, del Karolinska Institute di Stoccolma e dell’Università di Munster, in Germania: persone con alti livelli di questa proteina presentano un rischio di infarto maggiore rispetto ad altre.
Questo vuol dire che “livelli plasmatici elevati di lipoproteina(a) sono causa di un aumento del rischio di malattia coronarica e di infarto miocardico”. A sostenerlo Cesare Sirtori del Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università degli Studi di Milano.
Ma cos’è la Lp(a)? La lipoproteina era già stata scoperta nel 1963, ma finora era rimasta un vero “mistero” perché non si capiva se le sue proprietà trombogene ed aterogene fossero causa o conseguenza di infarti. “La novità che emerge adesso è il ‘ruolo causale’ della lipoproteina”, sempre nelle parole di Sirtori.
Infatti i livelli plasmatici di Lp(a), essendo diversi da individuo a individuo, risultano determinati geneticamente – dal gene LPA appunto. Lo studio del gruppo Procardis ha preso in esame il genotipo di 16 mila soggetti europei e ha dimostrato che tra le diverse varianti del gene LPA, due in particolare fanno aumentare il livello plasmatico di Lp(a): una persona su 6 è portatrice di una di queste due varianti nel suo DNA, di conseguenza ha livelli più elevati di Lp(a) e un rischio di infarto raddoppiato rispetto ai soggetti con genotipo normale; i soggetti portatori di entrambe le varianti hanno un rischio addirittura quadruplicato.
Circa una persona su 3 presenta, invece, un valore della lipoproteina(a) pari o prossimo allo zero. Quindi per il rimanente 70% la lipoproteina(a) può rappresentare un pericolo, a maggior ragione se i soggetti presentano altri fattori di rischio come la pressione alta o il diabete. Oggi si tende a considerare come range di normalità livelli di Lp(a) inferiori a 20 mg/dl, mentre quelli compresi tra 20 e 30 mg/dl sono a rischio. I valori invece che giustifichino un trattamento terapeutico sono quelli superiori a 35 mg/dl.
I dati possono spaventare, ma dal convegno ci sono anche incoraggianti risultati sulle cure per ridurre i livelli di lipoproteina nel sangue con la L-carnitina, una sostanza endogena già nota perché parte del metabolismo cellulare degli acidi grassi.
A spiegarci come la carnitina agisce sulla Lp(a) è il dott. Mariano Malaguarnera del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Catania. Una dieta attenta e l’esercizio fisico non bastano a ridurre la proteina killer nel sangue e “le opzioni farmacologiche, anche se efficaci, presentano spesso effetti collaterali”. Come per esempio quelle a base di estrogeni (utilizzabili tra l’altro solo nelle donne e non negli uomini), di fibrati e di statine, che però possono provocare effetti collaterali muscolari e a volte addirittura aumentare i livelli della lipoproteina(a) invece che ridurli. “Per questo motivo la ricerca si è orientata verso altri trattamenti” come appunto l’assimilazione di L-carnitina, “una sostanza naturale, presente nell’organismo, normalmente assunta con i cibi, dunque attraverso l’alimentazione.”
È presente soprattutto nei muscoli e serve come coadiuvante nell’attività energetica dell’organismo, perché ne migliora la vascolarizzazione. Inoltre ha proprietà antiossidanti, riduce cioè i radicali liberi, e tale potere “è importante perché spesso la parte più dannosa dei lipidi, del colesterolo e della lipoproteina(a) è dovuta all’ossidazione di queste sostanze.”
Ma quali sono i risultati in termini di efficacia e tollerabilità della L-carnitina? “I risultati preliminari di una serie di studi, qualificano la L-carnitina come una nuova opportunità terapeutica per la riduzione dei livelli di lipoproteina(a) in pazienti dislipidemici.” Inoltre, ha davvero ridottissimi effetti collaterali e, impiegata in associazione ad altri farmaci, addirittura ne previene gli effetti collaterali. In sintesi, la L-carnitina è una molecola ad alta disponibilità, che protegge la cellula, ha un’azione energizzante e una sui lipidi e la si può usare sia da sola che in sinergia con altri farmaci per aver un potere combinato sui fattori di rischio cardiovascolare.
Ad esempio, in uno studio recentissimo, la L-carnitina in associazione con simvastatina ha dato risultati estremamente positivi, soprattutto se confrontati con le suddette statine utilizzate su pazienti diabetici. “Il soggetto diabetico è un soggetto ad alto rischio: disporre di farmaci che da un lato agiscono sul metabolismo e dall’altro concorrono a migliorare il metabolismo glucidico, ci aiuta a ridurre il rischio in questa popolazione di soggetti”, ci spiega sempre Malaguarnera.
L’associazione L-carnitina e simvastatina riduce significativamente la glicemia, i trigliceridi, la Lp(a) ed aumenta HDL-colesterolo, il colesterolo buono che “combatte” quello cattivo, il fattore di rischio cardiovascolare maggiore.
Dal simposio fiorentino, allora, non solo la notizia del nuovo killer del cuore, ma anche del suo possibile antidoto: un aiuto contro gli infarti non solo farmacologico, ma anche naturale, basato proprio su una sostanza già presente nel corpo. Certo, è vero, altri fattori collaborano all’insorgere delle malattie cardiache e tutti sanno quanto una vita pigra e un’alimentazione ricca di grassi contribuiscano ad accrescerne i rischi, ma una mano ci viene, ancora una volta, dalla natura.
A volte basterebbe ascoltarla un pelino di più e dare più retta al nostro corpo e ai nostri reali bisogni. Per le malattie a volte non basta, ma di certo aiuta!
Valentina Nizardo