Storie di donne che non devono chiedere mai; che sono sempre presenti, disponibili, efficienti. Donne continuamente impegnate a pulire, sistemare, che vedono la casa sempre in disordine. Donne che alla domanda “Come stai?” rispondono ogni volta “benissimo, grazie!” sfoggiando un sorriso smagliante e subito dopo riprendono “E tu? Dimmi di te! I tuoi come stanno? E al lavoro come va?”.
Obiettivo principale: distogliere l’attenzione da sé. Perché una parola in più, una smorfia del viso potrebbero togliere quella maschera di perfezione, potrebbero svelare che poi “benissimo” in realtà, non va, che c’è ben poco da sorridere.
Cosa che è anche normale, perché nella vita non può andare sempre tutto a gonfie vele; eppure, per chi ha una propensione marcata verso il perfezionismo, ammettere la propria debolezza, riconoscere di avere problemi, preoccupazioni, in definitiva chiedere aiuto è realmente troppo difficile. Inutile dire a queste persone che “la perfezione non è umana“: quando dentro c’è un tarlo che divora, quando una voce insistente spinge a fare sempre di più, sempre meglio, a non risparmiarsi mai, ammettere di non farcela più sembra un lusso che non ci si può concedere.
Questa maschera di efficienza che nasconde una grande fragilità, come una corazza dura ed impenetrabile racchiude un corpo delicato, non cade neppure durante la gravidanza. Proprio nel periodo in cui una donna scopre il suo lato più tenero ed è naturale riservarle attenzioni e cure particolari, le “malate di perfezione” continuano a conservare la propria veste di efficienza, a far vedere che va sempre e comunque tutto bene, che non hanno bisogno di aiuto, che non provano paure, né sono sfiorate da dubbi. Il rischio che queste dure-fragili donne corrono, però, è molto serio: sono infatti molto vulnerabili alla depressione post partum.
È quanto scoperto dai ricercatori della York University (Canada), diretti dal dottor Gordon Flett. Gli studiosi hanno scelto un campione di cento mamme alla loro prima gravidanza, sottoponendole ad un test per conoscere il loro livello di perfezionismo, definito come la propensione a mostrare sempre un alto livello di efficienza per soddisfare le aspettative di parenti ed amici. Per comprare, in questo modo, l’amore che non credono di poter ricevere gratuitamente, a prescindere dalle proprie azioni, dalla propria disponibilità verso gli altri; l’amore che meritano semplicemente per il fatto di esistere.
I ricercatori hanno potuto individuare come la tendenza al perfezionismo renda le donne più inclini alla depressione post partum. Una patologia complessa ed insidiosa, che in questi soggetti diventa ancora più difficile diagnosticare, a causa della presenza di quella maschera di serenità e gioia che nasconde le difficoltà, che soffoca in gola le richieste di aiuto. L’unico imperativo è quello di mostrare una facciata dipinta in modo impeccabile, anche se all’interno, l’edificio crolla, giorno per giorno. “Ci potrebbero essere alcune neo mamme là fuori per cui potrebbe sembrare che tutto va bene, e che in realtà tutto sia perfetto. Ma in realtà è esattamente l’opposto, loro si sentono male, ma sono abbastanza brave da mascherarlo” afferma il dottor Flett.
Il disagio lavora in silenzio e segretamente, trasformando lentamente in un incubo, in un problema troppo grande da gestire, persino il rapporto con il proprio figlio. Fino ad alcuni episodi, drammatici, cui la disperazione porta. Tragedie apparentemente inspiegabili, perché “stava benissimo ed era sempre sorridente“. Ma lo stare benissimo nasconde spesso un disagio profondo, cela l’incapacità di molte donne di abbandonarsi tra le braccia di chi le ama per farsi aiutare.
“È la tenerezza che ci fa paura” canta Gianna Nannini: in certi casi, è proprio ammettere di aver bisogno di tenerezza e di accoglienza gratuita a far paura. Riconoscere di poter essere accettate ed amate, nonostante e con tutte le proprie imperfezioni, fragilità, inefficienze, insicurezze, è la chiave che apre, spalanca la porta alla gioia, ma quella vera, senza finzioni.
Francesca Di Giorgio