Informazione carente e confusionaria, prevenzione rarefatta soprattutto nella fascia adulta e conseguente vaccinazione a macchia di leopardo: è quanto emerso da una ricerca in materia di Papilloma virus (Hpv), condotta dal Censis su un campione di 3.500 donne tra i 18 e i 55 anni.
Dall’analisi dei risultati emerge che l’80% delle donne italiane intervistate sa bene cos’è l’Hpv, nonostante il 70% ritenga erroneamente che il virus colpisca solamente il sesso femminile.
Il 94% delle donne informate sa che l’Hpv è responsabile di diversi tumori, soprattutto di quello al collo dell’utero, mentre l’83% dichiara che può causare altre patologie dell’apparato genitale.
Tuttavia l’8% del campione dichiara che il virus è responsabile dell’AIDS mentre il 7% dell’epatite.
Ed ancora: il 67,5% pensa che il virus si diffonda solo mediante il rapporto sessuale completo, pertanto sostiene che l’uso del profilattico rappresenti una protezione adeguata; mentre solo meno del 20% sa che non si può eliminare completamente il rischio di contagio quando si è sessualmente attivi.
Tirando le somme, si nota quindi come le informazioni che circolano sul Papillomavirus non siano chiare (lo dichiarano 4 donne su 5).
Colpa di chi veicola i messaggi: piuttosto marginale risulta essere il ruolo dei professionisti della salute, tra i quali prevale comunque il ginecologo (12%); stampa e televisione vengono citate dal 30% delle intervistate; tuttavia per il 62% delle donne i servizi vaccinale delle Asl sono ritenuti interlocutori autorevoli ed affidabili.
Per quanto riguarda la vaccinazione, la situazione non è meno desolante: il 62% delle 14enni italiane – cioè le ragazze che avevano 11 anni nel 2008, anno dell’avvio della campagne di prevenzione – dichiara di essere vaccinata.
La quota decresce tra le 13enni e 12enni con rispettivamente il 59,9% e il 54,3%. Percentuali che scendono drasticamente se si considerano le donne adulte e al di fuori del regime di gratuità: è vaccinato solo il 2,9% delle 18enni e oltre.
Si deduce come vi sia una scarsa penetrazione della vaccinazione tra le donne adulte e più in generale una limitata diffusione quando il vaccino si deve regolarmente pagare (solo il 16% delle intervistate ha pagato), così come risulta essere ridotto il ricorso alle agevolazioni economiche previste dalle Regioni per l’accesso alle vaccinazioni delle giovani donne (il cosiddetto social price – solo il 10% ne ha fatto ricorso).
Insomma, una fotografia di certo non confortante che deve aprire gli occhi ai poteri decisionali della sanità: vi è esigenza di una informazione chiara, completa e autorevole.