Si è rivelata efficace la stimolazione cerebrale profonda nei malati di Parkinson. Ed è per questo che anche all’Ospedale Regina Elena di Roma sono state effettuate le prime sperimentazioni italiane.
Come sappiamo, il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa legata all’abbassamento dei livelli di dopamina, uno speciale neurotrasmettitore la cui diminuzione in un’area cerebrale chiamata sostanza nigra porta il paziente ad avere evidenti disturbi motori, tra cui resistenza ai movimenti passivi, tremore, rigidità, spostamento in avanti del baricentro corporeo, che a lungo andare porta alla completa rigidità.
Ma grazie alla nuova tecnica, chiamata stimolazione cerebrale profonda, già sperimentata su 80 mila pazienti di tutto il mondo, è stato notato un miglioramento sul controllo dei movimenti, con una conseguenza riduzione dei farmaci pari al 50%.
Come funziona? Il segreto sta in uno speciale elettrodo che viene inserito nel cervello del paziente, ed in particolare in una zona del talamo o dei nuclei della base. Collegato a un pacemaker, l’elettrodo stimola elettricamente la zona, intervenendo sul controllo dei movimenti.
Ma non è una tecnica poi così nuova. Come ha spiegato il neurochirurgo Carmine Carapella è una procedura inaugurata oltre 20 anni fa in Francia, la cui efficacia però è stata dimostrata dopo varie sperimentazioni.
Inoltre, tale terapia, oltre ai vantaggi già illustrati come la minore rigidità fisica, la riduzione quasi totale dei tremori e la migliore fluidità dei movimenti, ha un ulteriore merito: può essere reversibile, cioè può essere interrotta togliendo l’elettrodo.
Si spera ora che la sua applicazione possa diffondersi nel maggior numero dei centri italiani.
Francesca Mancuso