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RU486, Bari: la prima paziente finisce la terapia

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Che sia stato un bene o no questo lo potrà decidere solo lei. E solo lei saprà il dolore che si prova. Quello del cuore, intendo. Il trauma e, probabilmente, il rimpianto per il resto della vita. Ma tant’è. E se una donna decide di abortire non la fa per scelleratezza. Non lo fa per egoismo, né perché non ha sale in zucca.

Finisce la terapia la prima paziente che a Bari si è sottoposta al trattamento con la RU486. Torna a casa con un macigno nell’animo, mentre il valzer attorno a sé dei perché l’abbia fatto è scattato già da un pezzo.

E si ripete la guerra contro queste atroci figure e la politica si fa di nuovo bella col suo gran parlare. Come se poi il triste esercito delle donne che abortiscono non esistesse già, da sempre. Anche senza RU. Prima dell’introduzione della legge 194 i viaggi all’estero e i ferri da calza erano una prassi. Forse, se l’interruzione volontaria di una gravidanza non fosse un fatto esclusivo dell’universo femminile, i toni sarebbero più pacati. O, forse, la colpa è soltanto quella di scegliere di abortire in maniera più soft, evitando un intervento chirurgico con anestesia.

Intanto, sempre al policlinico di Bari, lunedì toccherà ad altre due donne sottoporsi alla terapia della pillola abortiva e dalla prossima settimana sarà attivo un numero verde per chi voglia assumere informazioni e prenotare visite nella clinica ginecologica.

Nel frattempo, per le richieste di informazioni il numero provvisorio è lo 080-5593425.

Germana Carillo

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Giornalista pubblicista, classe 1977, laurea con lode in Scienze Politiche, un master in Responsabilità ed etica di impresa e uno in Editing e correzione di bozze. Direttore di wellme per tre anni, scrive per greenMe da dieci. È volontaria Nati per Leggere in Campania