La Ru486 continua a non convincere. Delle ultime quattro richeste, avviate presso l’Usl 12 di Venezia, una non è andata a buon fine.
Le quattro donne – di cui due straniere – sono state ricoverate per tre giorni in ospedale. L’età media delle donne che hanno richiesto l’aborto con la pillola è di 26 anni: la più giovane ne aveva 21 e la più “anziana” 33. Ma qualcosa è andato storto, e per una di esse il distacco del tessuto embrionale non è avvenuto. Così per i medici è stato necessario ricorrere all’intervento chirurgico. Per l’Usl, si rientra delle normali statistiche scientifiche del farmaco.
Ma la scelta della pillola abortiva è stata decisamente minoritaria, almeno in Veneto. Le donne, in genere, sono rimaste legate al vecchio metodo. Anche in altre regioni, come l’Emilia Romagna, in cui la Ru486 è stata accolta benevolmente (e dove l’intervento si pratica in day hospital e la donna non è costretta a stare tre giorni in ospedale), non vi sono state molte richieste.
Anche nel Lazio si continua a discutere. Dopo la decisione del presidente della Regione, Renata Polverini, di attenersi strettamente alla legge alla legge 194/78 senza scorciatoie, le polemniche non si sono fatte attendere. “L’iniziativa della presidente Renata Polverini e della sua Giunta sull’utilizzo della Ru486 – sostiene Isabella Rauti, membro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio – non danneggia le donne ma, al contrario, mira ma alla salvaguardia della loro salute: il protocollo approvato prevede infatti l’aborto farmaceutico all’interno delle strutture ospedaliere per garantire la salute fisica e psicologica della donna cosi’ come previste anche dalla legge 194/78, e quindi nulla toglie rispetto a quanto oggi previsto dalla legge“.
E aggiunge: “Inoltre ci si sta impegnando per garantire le condizioni necessarie ed ottimali per monitorare l’intero processo abortivo dalla somministrazione della pillola Ru486 fino alla ”espulsione”; si vuole evitare infatti il ‘fai da te’ e che sul corpo delle donne si possano scaricare eventuali conseguenze di un uso non sicuro della pillola Ru486. Il principio da rispettare è, quindi, che la somministrazione della Ru486 debba avvenire nella struttura ospedaliera: se questa necessaria precauzione non venisse applicata e regolamentata, nell’utilizzo della pillola abortiva si rischierebbe una pericolosa scorciatoia che metterebbe a rischio la salute delle donne“.
Appoggia tale posizione il Moige (Movimento Italiano Genitori), che tramite Maria Rita Munizzi fa sapere: “Le interruzioni di gravidanza effettuate tramite la somministrazione della Ru486 hanno lo stesso grado di difficoltà e di serietà dell’aborto chirurgico, l’aborto resta una decisione sofferta, difficile e dolorosa, non solo a livello psicologico ma anche fisico. Per tale motivo la decisione della Regione Lazio di redigere delle linee guida per la somministrazione della pillola abortiva è positiva poichè va a tutelare concretamente la salute delle donne, stabilendo il ricovero ordinario e l’individuazione delle strutture con i requisiti migliori per questo tipo di intervento“.
Ma le associazioni in difesa della Ru486, dichiarano guerra alla decisione della Polverini di bloccare la prima somministrazione prevista per giovedì scorso all’Ospedale Grassi. “Col pretesto di proteggere le donne – sostengono – si sta creando una situazione di caos perché le donne del Lazio stanno andando in altre regioni d’Italia“.
Francesca Mancuso