Dopo l’utilizzo delle cellule staminali per curare la parodontite, arriva dall’Italia e precisamente dall’Emilia Romagna la notizie che grazie ad esse è possibile anche ridare la vista a chi ha problemi visivi.
Lo studio che ha portato a tale risultato, diretto dalla dottoressa Graziella Pellegrini, è stato svolto dall’Università di Modena e Reggio Emilia, insieme all’Istituto San Raffaele e al Centro di Medicina Rigenerativa Stefano Ferrari, ed è stato pubblicato sul “New England Journal of Medicine“.
Dopo aver preso in esame 107 pazienti, tutti con un occhio danneggiato in maniera parziale o totale a causa di bruciature legate a prodotti chimici, gli studiosi hanno prelevato dall’occhio sano le cellule staminali dal limbo, la parte che si trova al limite della cornea e le hanno fatte rigenerare in laboratorio. In seguito, sono state inserite nell’occhio danneggiato.
I risultato è stato devisamente positivo. Dei 107 occhi trattati, ben 82 sono tornati totalmente a vedere e 14 hanno recuperato parzialmente la vista. Inoltre, il risultato è stato stabile. La tecnica ha avuto pieno successo nel 75% dei casi, tra cui quello di un uomo che aveva perso la vista 60 anni fa.
Fino ad ora, le cellula staminali erano state poco usate per risolvere i problemi di vista. In più, due ulteriori vantaggi della la tecnica appena usata (che prevedeva il prelievo di tessuti da cadavere). sono l’uso di cellule dello stesso paziente, perfettamente compatibili, e il non utilizzo di farmaci immunosoppressori.
Ecco cosa ha affermato la dottoressa Pellegrini: “Questo tipo di terapia si utilizza quando sono irrimediabilmente compromesse le staminali dell’occhio, ed è ipotizzabile impiegarla anche in altri tipi di malattie che hanno questa caratteristica. Quando le staminali dell’occhio non sono danneggiate ci sono alternative terapeutiche, come i trapianti di cornea, ma questi falliscono se l’occhio ha perso la sua capacità rigenerativa“.
Ma gli studiosi non si fermano di certo qui: “Una volta che abbiamo imparato come manipolare le cellule è sorta naturalmente la voglia di iniziare a lavorare su altri epiteli“.
Francesca Mancuso