immagine

Con il super-microscopio si dirà addio alle biopsie

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin

Spesso dietro al terrore di scoprire che si è affetti da gravi malattie, si nasconde anche la paura e la preoccupazione per le tecniche diagnostiche molto invasive utilizzate per tale scopo.

Facendo un esempio pratico, per capire se un organo o un tessuto sono stati colpiti da un tumore e per capire la sua origine benigna o maligna c’è bisogno di sottoporsi ad un intervento molto delicato che richiede l’asportazione di piccole parti dell’organo colpito per poter effettuare le analisi in laboratorio. La biopsia quindi finora rappresentava l’unico metodo per poter ottenere questo tipo di informazioni ma, con il suo alto tasso di invasività, spesso costituisce un vero e proprio intervento suppletivo a soli fini diagnostici.

Per evitare questo calvario a coloro che già sono sulle spine e rendere meno dolorosi gli esami di diagnosi, è stato costruito un potente microscopio che ha in sé due tecniche di imaging, in modo da permettere l’analisi ad alta risoluzione dei tessuti senza la necessità di interventi di chirurgia, bisturi ed anestesie.

Il merito di questa progettazione innovativa va al Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova. Proprio in questo laboratorio è stato progettato un nuovo tipo di microscopio, SW-2PE-STED, che unisce la nanoscopia ottica STED e la microscopia a doppio fotone 2PE. La funzione del nanoscopio ottico STED (Stimulated Emission Depletion) è quella di ottenere immagini dettagliate di sistemi cellulari su scale nanometriche, mentre quella della microscopia a doppio fotone è di osservare cellule, tessuti o organi fino a 800 micron di profondità.

Paolo Bianchini è uno dei quattro ricercatori che si sono occupati di questo progetto e ha spiegato come si è arrivati alla progettazione di uno strumento così sofisticato: “Il nostro gruppo ha una forte competenza in queste tecniche. Ciò ci ha permesso di pensare a delle piccole ma importanti variazioni: innanzitutto utilizzare un solo tipo di luce laser sia per stimolare sia per controllare la fluorescenza del campione, e infine modificare l’architettura dello strumento per aumentare la risoluzione di circa quattro-cinque volte, sfruttando la microscopia a doppio fotone“.

Ma come funziona concretamente questo microscopio? Esso utilizza un fascio di luce laser che viene scisso in due: il primo porta all’eccitazione multifotonica; il secondo, a forma di ciambella, “strizza” l’informazione e così ottiene un’immagine ad altissima risoluzione. In più ha il merito di penetrare in tessuti e organi e ciò rende possibile analizzare i tessuti dall’esterno, senza incisioni dolorose.

Ad elogiare la nuova scoperta ci ha pensato anche il professor Alberto Diaspro, direttore del Dipartimento: “Oltre a riuscire coniugare in un unico strumento due tecniche avanzate, il nostro lavoro è importante perché la luce che utilizziamo ha un’energia che non danneggia il campione biologico che vogliamo analizzare. In futuro potremo studiare i meccanismi molecolari di tessuti e organi del nostro corpo senza estrarre le cellule dal campione, ma direttamente. E i campi di applicazione potranno essere molteplici, dalle neuroscienze alla comprensione delle malattie oncologiche“.

La progettazione del microscopio SW-2PE-STED è veramente molto importante e rappresenta un grande passo avanti nelle tecniche diagnostiche puntando, oltre che sulla precisione, anche a creare meno traumi alle persone che si sottopongono a questo tipo di controlli. Un grande successo per la ricerca italiana e un grande sollievo per i pazienti.

Lazzaro Langellotti

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Per suggerimenti, storie o comunicati puoi contattare la redazione all'indirizzo redazione@wellme.it