I ricercatori del Laboratorio di Genetica Umana del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Molecolari dell’Università dell’Insubria, guidati da Roberto Taramelli, ordinario di Genetica umana alla Facoltà di Scienze Varese, hanno isolato un gene che contribuisce a chiarire il processo che sottende la genesi del tumore ovarico, uno dei tumori più letali tra quelli ginecologici.
Secondo la ricerca, questo gene indurrebbe il reclutamento di particolari cellule che aiutano a circoscrivere la crescita tumorale. Nelle persone ammalate di cancro ovarico c’è un’alterazione di questo gene e, quindi, una mancanza di reazione al tumore.
Spiega il professor Taramelli: “Siamo partiti da una considerazione molto generale ma abbastanza semplice: se è un dato ormai assodato che a una persona su tre venga diagnosticata una neoplasia nel corso della propria vita, è anche vero che due persone su tre sono resistenti. Ci siamo quindi chiesti da cosa dipendesse questa “resistenza”. Per rispondere a questo quesito occorre pensare al cancro non come un susseguirsi di alterazioni che colpiscono una singola cellula, nel nostro caso una cellula dell’epitelio ovarico, bensì dobbiamo considerare il cancro come una malattia dovuta a un’alterata organizzazione strutturale dei tessuti che compongono i nostri organi”.
Il professore fa riferimento alle alterate e anomale interazioni fra le varie cellule che compongono un determinato tessuto, per cui il cancro viene visto come un disturbo che origina all’interno della “società delle cellule”. “Solo considerando il cancro a questo alto livello di organizzazione – prosegue Taramelli – si può comprendere tale fenomeno. Questa infatti deriva dalle complesse e complicate interazioni che si instaurano tra le centinaia di migliaia di cellule che costituiscono il cosiddetto “micro-ambiente” a livello dei nostri tessuti. A loro volta la natura delle dinamiche d‘interazioni derivano dal nostro “make up genetico” ossia dall’assetto del nostro patrimonio genico che ovviamente può variare da persona a persona (differenze genetiche) e che quindi spiegherebbe parte dei processi legati alla resistenza”.
In questo modo, all’Università dell’Insubria, è stato trovato il gene “RNASET2” che codifica per una proteina enzimatica che agisce nell’ambito del microambiente. Essa stimola la produzione e il reclutamento di particolari cellule immunologicamente competenti che, a loro volta, circoscrivono la crescita tumorale e quindi contribuiscono a rafforzare la resistenza verso il tumore. “D’altro canto quanto da noi scoperto – sottolinea il professore Taramelli – è in accordo con dati descritti molti anni fa ma mai apprezzati dalla comunità scientifica, cioè che le cellule normali operano una forte inibizione nei confronti delle cellule neoplastiche e questa inibizione è un fattore importante nel contribuire alla resistenza. Per converso anomalie dell’inibizione sono alla base della suscettibilità al tumori”.
Il tumore ovarico porta alla morte della metà delle pazienti: ogni anno in tutto il mondo sono 200 mila i nuovi casi, in Italia circa 4 mila. Inoltre, spesso le pazienti arrivano dal medico quando la malattia è a uno stadio molto avanzato, dal momento che si tratta di una malattia asintomatica.
Lo studio sarà pubblicato in questi giorni sulla rivista americana Proceeding of the National Academy of the Sciences of the USA.