Problemi di udito: solo il 20% dei 7 milioni di italiani che non sentono bene porta l’apparecchio. Paura e pudore, ma c’è anche da dire che nel 56% dei casi non c’è mai stata una vera visita di controllo della funzione uditiva. In questo modo, di media trascorrono 10 anni prima dell’applicazione di un apparecchio acustico, oggi sempre più discreto ed efficace.
L’Italia è in ritardo nei confronti del resto d’Europa, dove la percentuale dei pazienti con deficit che portano l’apparecchio sale ben oltre il 40%. Nel nostro Paese esistono appena 1200 centri per le audioprotesi dove lavorano circa 3200 professionisti.
Con la popolazione che invecchia l’ipoacusia è in continua crescita così come accade con la presbiopia, tanto che si parla di ‘presbiacusià. Un fenomeno che riguarda almeno il 30% delle persone fra 65 e 75 anni e addirittura il 50% dopo i 75 anni, con una prevalenza maggiore fra chi abita in città per la presenza di un ‘carico’ di rumore più elevato e costante.
“Oggi sarebbe impensabile non mettere gli occhiali se c’è un difetto visivo – spiega Gianni Gruppioni, presidente Associazione Nazionale Audioprotesisti Professionali (Anap) – ma c’è invece ancora moltissima resistenza a controllare e correggere i deficit uditivi. Eppure non sentire significa tagliarsi fuori dal mondo, correre rischi, avere una qualità di vita scarsa. Manca innanzitutto un’adeguata informazione da parte del medico di medicina generale. Sarebbe auspicabile, per riuscire a fare una vera prevenzione, indirizzare ai controlli adeguati la popolazione e soprattutto i pazienti che riferiscono di sentire ronzii o che si accorgono di aver necessità di farsi spesso ripetere le parole. Non mancano neppure seri rischi: guidare l’auto senza un udito perfetto aumenta il pericolo di incidenti“.
“Le ipoacusie – interviene Elio Marciano, presidente della Società Italiana di Audiologia e Foniatria – interferiscono sulle possibilità relazionali, sul cognitivo, sulla memoria e altro. Il ritardo o la mancata correzione della disabilità uditiva, anche per le forme minori, può comportare danni irreversibili a carico delle vie uditive centrali e/o periferiche, nell’adulto e a maggior ragione nel bambino, dove un udito adeguato è la condizione fondamentale per imparare il linguaggio. Occorre perciò sensibilizzare i cittadini all’importanza dei controlli, a partire dallo screening neonatale e dei bambini in età scolare fino all’età adulta. Poi, dopo i 50-55 anni, sarebbe opportuna una visita annuale di controllo. L’audioprotesista è fondamentale: in collaborazione con le altre figure che partecipano al percorso di cura (audiologo-foniatra, audiometrista, logopedista) coopera alla creazione del progetto abilitativo/riabilitativo e consente il miglior approccio possibile, sanitario e psicologico, all’uso dell’apparecchio acustico“.
Ancora oggi tuttavia l’apparecchio acustico è visto e vissuto come qualcosa di invasivo, meno comodo dell’occhiale anche se non è più così: i prodotti che si trovano oggi possono arrivare a pesare appena un grammo ed essere praticamente invisibili.
“La tecnologia è molto migliorata negli ultimi anni – aggiunge Salvatore Regalbuto, vicepresidente nazionale Anap – e oggi è possibile personalizzare al massimo l’applicazione. Esistono strumenti che possono interfacciarsi via bluetooth con il cellulare o la televisione, per sentire meglio e senza interferenze, altri che sono del tutto invisibili nell’orecchio: ma la scelta deve essere però fatta dall’audioprotesista. Non si può pensare di acquistare un apparecchio acustico come fosse un telefonino o in farmacia quando trattasi di un amplificatore qualsiasi e non c’è un audioprotesista che assiste la persona con problemi di udito. Lo stesso ausilio infatti può dare risultati completamente diversi a seconda del tipo di taratura e di applicazione: è l’audioprotesista che, sulla base delle caratteristiche dell’ipoacusia, delle esigenze del paziente e del suo stile di vita, deve trovare il miglior compromesso fra l’estetica e la funzionalità dell’apparecchio“.
“L’audioprotesista – conferma Gruppioni – è l’unica figura sanitaria abilitata che può guidare con competenza – derivante dal percorso di laurea e dall’aggiornamento continuo in medicina obbligatorio – il paziente nella scelta: un ausilio per l’udito non è un prodotto da fai da te, non si devono preferire scorciatoie a basso costo. È inutile, per esempio, dare un prodotto complesso da gestire a un anziano con poca manualità che ha difficoltà con un telecomando. Oggi la tecnologia mette a disposizione dispositivi completamente automatici. L’apparecchio vale il 30, 40% del successo dell’applicazione, il resto dipende dall’adattamento, personalizzato e unico per ogni singolo paziente, compiuto dall’audioprotesista, che, attraverso incontri successivi, arriva a dare al paziente il prodotto su misura per lui, che gli calzi come un guanto“.