Ascoltare musica serve non solo a rilassarsi e a far godere le orecchie. Anzi! Il suo potere taumaturgico è appurato da sempre: fin dall’antichità abbiamo testimonianze del connubio musica-medicina.
Nella mitologia greca erano gli stessi dei a usarla per lenire il dolore e anche per indurre cambiamenti nel corpo e nella mente degli umani. Già in questi miti vengono descritte le 3 diverse categorie di anestesia: l’ipnosi, l’amnesia, l’analgesia.
La musica quindi è stata usata fin da tempi remoti, come le droghe, per indurre alterazione della coscienza per avere effetti positivi sulla sofferenza corporea ed emotiva. Sono gli elementi fisici del suono che modificano il sistema psico-neuro-immuno-endocrinologico. In una visione olistica della malattia, la musica può essere un cardine importante per far girare la porta del dolore nel verso giusto, proprio perché agisce sugli organi, sulle ghiandole endocrine e sul sistema emotivo. Sarà capitato a tutti di ascoltare la canzone giusta al momento giusto e di sentirsi quasi sollevati e di dimenticare, per un attimo almeno, ciò che li turbava: io per esempio ho tutta una lista di canzoni che ascolto a tutto volume nelle giornate no! Come se la musica anestetizzasse davvero cuore e mente rendendoci capaci di superare momenti negativi.
È proprio l’aspetto “anestetico” dei suoni che viene oggi ripreso dalla medicina moderna. Infatti, i ricercatori della Johns Hopkins University hanno da poco pubblicato sul Journal of Alternative and Complementary Medicine i risultati della loro ricerca: non solo la musica pare avere poteri miracolosi per il dolore, ma stesso potere ce l’hanno i suoni della natura. Per scoprirlo Noah Lechtzin e colleghi hanno fatto un esperimento su 120 pazienti sottoposti ad aspirazione del midollo dall’osso dell’anca o alla base della spina dorsale, un’operazione la cui anestesia locale non elimina del tutto il fastidio. Le cavie sono state divise in 3 gruppi: il primo è stato operato in modo tradizionale, il secondo invece in uno scenario bucolico, con immagini di montagne e foreste, il terzo infine all’interno di un paesaggio cittadino con suoni snervanti come clacson e rumori del traffico. “Accompagnare la procedura dell’agoaspirato con suoni e paesaggi che rimandavano al mondo della natura – dichiara Lechtzin – rendeva il prelievo meno doloroso in un paziente su cinque”. Riuscire a creare un ambiente distensivo con suoni e rappresentazioni piacevoli e rilassanti aiuta allora a percepire meno il dolore e ha di sicuro meno effetti collaterali di sedativi e anestesie”.
La percezione di determinati suoni aiuta davvero ad affrontare meglio il malessere!
A tal riguardo uno studio della Glasgow Caledonian University tuttora in corso, sta analizzando le componenti dei suoni per capire come poter associare una giusta canzone al determinato sintomo. Dopo aver stilato una lista di canzoni “prescrivibili” e una da evitare, il team scozzese ha appurato che la variabile più importante della musica e dei suoni sulla percezione del dolore e sugli stati di malessere psicologico come la depressione, è la velocità: un brano veloce migliorerebbe l’umore a differenza di uno lento che peggiorerebbe invece il benessere psico-fisico generale. Ma le suggestioni stillate dalla musica dipendono da molteplici fattori. Don Knox, ingegnere del suono e coordinatore del progetto sostiene al riguardo che “la musica esprime un’emozione come risultato di molteplici elementi tecnici, ma è chiaro che i suoi effetti su una persona dipendono anche da fattori personali, come l’associazione a un evento triste o felice”.
Ciò a cui si mira è la creazione di una sorta di database musicale a cui a un determinato sintomo corrisponda un determinato tipo di canzone. Questo sulla base degli elementi costitutivi della comunicazione musicale: la frequenza (od altezza della musica), l’intensità (l’energia), il colore della tonalità (l’armonia), l’intervallo (che crea la melodia) e la durata (che crea il metro). Sono questi elementi che modificano lo stato psicofisico di un paziente e di una persona in generale: con differenti ritmi si possono indurre diversi comportamenti e suscitare eccitazione o sonnolenza.
Ma come mai la musica può tanto? Per il principio di sincronizzazione armonica che dalla fisica delle onde si può trovare in tanti fenomeni della natura. Cosa dice questo principio? Che “due corpi che producono oscillazioni tendono ad accomodarsi in fase, ossia nel loro ritmo oscillatorio”. Alternando per tanto accenti forti e deboli si possono, ad esempio, sincronizzare i ritmi respiratori, stimolando, dall’esterno, i processi endogeni di rilassamento, riduzione del dolore e perfino di guarigione. Conferme al riguardo si hanno nella misurazione della frequenza cardiaca. Tra gli altri effetti positivi della musica ricordiamo anche il rilascio di endorfine, che agiscono proprio contro il dolore – oltre alla sensazione diffusa di poter controllare la sofferenza, anche per l’inibizione di essa che la musica stessa crea.
Ai non amanti della musica tocca allora ricredersi, e non solo per aver un umore migliore la mattina appena svegli, ma anche per provare meno pene fisiche!
Da un lato quindi anestesie naturali nel vero senso della parola, fatte di cinguettii e di scrosci d’acqua, e dall’altro una vera e propria medicina del suono. Un nuovo rapporto con l’arte delle vibrazioni sonore, un matrimonio tra essa e la scienza della salute in una visione globale del concetto di malattia come squilibrio omeostatico di fattori non solo organici, ma anche neurologici legati alla concezione e alla cognizione stessa del dolore: il blocco energetico – o lo squilibrio biochimico, se non siamo ancora pronti ad accogliere la visione orientale della patologia – potrà essere presto guarito anche con la musica.
Valentina Nizardo